Recensioni “La porta” – Abeat 2001

Recensioni “La porta” – Abeat 2001

La Porta - Abeat 2001

Roberto Demo

Palmino Pia  piano

Emanuele Cisi  (ospite) sax tenore e soprano





 

Abeat Records – novembre 2001

Roberto Demo è un giovane cantante italiano dotato di un timbro di voce originalissimo e sorretto da un prezioso senso ritmico, da una pronuncia e da un fraseggio jazzistico formidabile. La sua anima mediterranea inoltre apporta dei valori e dei sapori tali da rendere la sua musica unica oltrechè esportabilissima.
Da tempo in Italia non, si ascoltava un cantante uomo con queste potenzialità.
Demo ha riempito questo “buco” storico con una carica ed una energia tale che sin dalle prime apparizioni artisti di grande fama lo hanno giudicato eccezionale: vedi Gaslini, D’Andrea, Tiziana Ghiglioni ecc…
In questo significativo disco per Abeat for jazz lo troviamo in compagnia di: Palmino Pia un fedele compagno musicale, e di Emanuele Cisi sassofonista considerato tra i più grandi esponenti europei e da anni ormai uno dei massimi portacolori del jazz italiano nel mondo.
Il trio presenta brani originali ricchi di inventiva e di solarità nonchè alcune interpretazioni di standards come it don’t mean a thing, All blues, Oleo, ‘Round midnight in una chiave unica dove le qualità tecniche vengono esaltate e l’espressività rende tali interpretazioni uniche.
Su tutto l’originalità del progetto, la tecnica e l’espressività che fanno di questo disco un probabile ambasciatore di una nuova via del canto italiano al maschile nel mondo.

www.blackinradio.it  (sito non più attivo) – Luigi Onori – gennaio 2002

La nostra è un’epoca “postmoderna”, dov’è difficile creare qualcosa di originale senza aver fatto i conti ed essersi confrontati con gli artisti del passato, magari recente o recentissimo come nel caso del jazz. In questa accezione, forse tutte le epoche sono state “post” ma l’attuale si ha l’idea o la presunzione di conoscerla meglio.
Roberto Demo ha, con coraggio e determinazione, cercato una sua via nella vocalità jazzistica seguendo tre filoni: la rilettura di brani di repertorio (Duke Ellington, Thelonious Monk, Sonny Rollins, Miles Davis più qualche standard); l’esecuzione di pezzi originali in una chiave strumentale (come la suggestiva “Danza Eolia” firmata dal pianista Palmino Pia); la proposta di brani con testi in italiano, tra gli altri quello che dà il titolo all’intero album (“La porta”). I tre filoni – che spesso si mischiano nella prassi esecutiva – mettono in luce le radici e le prospettive del vocalist: la base, solida e trasparente, è quella del canto scat (“It Don’t Mean A Thing”) con riferimenti a Bobby McFerrin, cui si aggiungono le maestrie del vocalese (mediante la creazione di versi nuovi che ricalcano assoli o temi, si ascolti in proposito “Round Midnight”. C’è, infine, la parte più nuova della sua produzione, quella che “gioca” con testi in italiano, cuciti attorno a melodie ora melanconiche ora ironiche, spesso realizzati con il semplice supporto del pianoforte (un apporto fondamentale all’album è dato dai sassofoni di Emanuele Cisi).
Demo in questa suo terreno di ricerca non è solo; c’è, ad esempio, Sergio Cammariere caratterizza i propri brani in modo jazzistico-surrealistico e, in termini più generali, il jazz sembra ispirare non solo vocalist in senso canonico quanto cantanti che hanno la musica afroamericana nel loro DNA ma se ne servonono per andare oltre. Da un lato, quindi, l’operazione è elegantemente postmoderna; dall’altro Roberto Demo prova a sondare nuovi terreni espressivi, con risultati incoraggianti. Del resto c’è un sostanzioso filone di canto italico con connotati jazzistici, filone non dimenticato dato il rinnovato successo in tempi recentissimi dell’ultrasettantenne Nicola Arigliano.

www.ciaojazz.com (sito non più attivo) – Andrea Scaccia – gennaio 2002

Se un disco d’esordio vuole essere una dichiarazione d’intenti La porta, il “primogenito” di Roberto Demo, è indubbiamente un forte e chiaro segnale di un emergente le cui ottime qualità vocali (sorrette anche da una spiccata dote compositiva), danno la sensazione che questo sia solo il primo capitolo di una lunga storia.
L’innato senso dello swing è senz’altro uno dei tratti peculiari della sua voce; così come lo sono il suono caldo ed avvolgente sorretto da notevoli doti tecniche che, sapientemente, non sacrificano, ma lasciano spazio, alle qualità espressive di cui il nostro è dotato. Un aspetto per nulla secondario nella buona riuscita del disco è da ricercarsi nella scelta degli standards: con l’aiuto di un brillante scat e del vocalese (quella tecnica che adatta delle parole ad un pezzo originariamente strumentale, mantenendo rigorosamente integra in tutte le sue parti la melodia originale), reinterpreta brani celebri che spaziano dalla meravigliosa It Don’t Mean a Thing di Duke Ellington a ‘Round Midnight di Monk; da Oleo di Sonny Rollins sino ad All Blues di Davis in cui Demo riproduce il celebre sordinato del trombettista.
Tra i brani originali del disco spiccano il brioso Sonny’s Tune, composto da Demo – evidentemente un grande ammiratore del tenorsassofonista di New York- e Danza Eolia, nato dalla penna del pianista Palmino Pia che – così come l’ottimo Emanuele Cisi, al sassofono tenore e soprano – rappresenta un intelligente compagno di viaggio per il trentaseienne cantante torinese. Non capita spesso di ascoltare, almeno in Italia, uomini che cantino il jazz; proprio per questo riteniamo importante il lavoro di Roberto Demo, e consigliamo senza riserve questa incisione.

www.allaboutjazz.com – Neri Pollastri

Assai intrigante questo disco del giovane cantante Roberto Demo, condotto in coppia con il pianista piemontese Palmino Pia e con la presenza in alcuni brani del sassofonista Emanuele Cisi.
Demo, classe ’65, viene a coprire una delle più macroscopiche lacune del panorama jazzistico nostrano – quella delle voci maschili. Le sue doti vocali, a giudicare da questo CD, appaiono considerevoli e notevolmente flessibili. Impostazione da contralto, Demo eccelle in particolare nel contesto del vocalese (l’iniziale “It Don’t Mean a Thing”, per voce sola, “Oleo”, “Sonny’s tune”) ma si presta bene anche in quello del canto jazz più tradizionale (“I Wish You Love”, “’round Midnight”).
Inoltre, egli tenta con successo sortite in contesti più originali, quale il suggestivo “Danza eolia” di Palmino Pia, nel quale la sua voce assume colorazioni quasi femminili. Meno convincenti i brani che si avvicinano maggiormente alla musica leggera (“Coccole”, “La porta”, “Mille volte ancora”), nei quali l’originalità dei testi non sembra compensare un certo appiattimento della proposta.
Nelle tracce migliori, Demo si esibisce in un fluido e ritmicamente ben sviluppato “scat”, che accoppia efficacemente al canto ed a vocalizzi, schiocchi e gorgheggi, sempre ben ancorati alla struttura del brano. Oltre al già citato “Sonny’s Tune”, eccellente pezzo originale, da segnalare l’interpretazione di “Lullaby of Birdland”, in duo con il tenore di Cisi. Particolarmente originali e “straniate” – e certo non era facile – le versioni di “’round Midnight” (anche grazie al lunare soprano di Cisi) e soprattutto di “All Blues”, piacevolmente irriconoscibile.
Se Cisi si limita (si fa per dire) a fornire un originale contributo nei brani in cui è presente, Palmino Pia costituisce l’altra lieta sorpresa dell’album. Pianista maturo, dal bel tocco ma anche dall’originale apporto cromatico, è coautore degli ottimi arrangiamenti e firma l’interessante “Danza eolia”. Oltre che in quel brano, che lo vede protagonista, se ne possono apprezzare le qualità, ad esempio, in “Oleo”.
Un disco un po’ spiazzante, per la presenza di brani quasi leggeri, ma complessivamente assai interessante, sia per la totale inusualità nel panorama italiano e per la presenza di momenti originalissimi e brillanti, sia perché mette in vetrina due ottimi musicisti, pressoché sconosciuti ma ai quali conviene prestare d’ora innanzi giusta attenzione.
Valutazione:* * * 1/2

Musica Jazz – Claudio Sessa – dicembre 2002

La pattuglia dei nuovi cantanti jazz italiani, dopo l’affermazione internazionale di diverse voci femminili, comincia a comprenderne anche di maschili. Demo è nato a Torino nel 1965 e dalla metà degli anni novanta si è dedicato allo studio di varie tecniche vocali (oltre a composizione, arrangiamento, programmazione e insegnamento), come dimostra questo disco d’esordio. In esso lo troviamo impegnato in avventure astratte ispirate a Bobby McFerrin (il brano a cappella in apertura, Three Dreamers, Lullaby of Birdland, All Blues), esperimenti semietnici che richiamano Maria Joao (Danza Eolia), interpretazioni più classiche di standard, temi originali con testo in italiano: come si vede, un ampio spettro che fa di quest’album un vero e proprio bilgietto da visita.
La sfida nel complesso è vinta: Demo ha scioltezza, intonazione, senso del rischio una cifra originale. Non mancano le ingenuità; i testi dei quattro brani in italiano scivolano spesso nel banale e contengono anche incagli lessicali che non giovano all’interpretazione e i molti momenti scat sono più basati sull’entusiasmo che su una meditata valutazione del mezzo usato. Va anche rilevato che, in una formula strumentale difficile e lodevolmente azzardata, Pia (autore degli arrangiamenti assieme al leader) sa sempre trovare il giusto equilibrio armonico e dinamico per sostenere e rilanciare la voce del partner, mentre gli interventi di Cisi confermano le ben note qualità espressive di un “giovane leone” dotato di denti e artigli.

Rockerilla – Andrea Dani – gennaio 2002

L’originalità della proposta di Roberto Demo non sta soltanto nel fatto che i vocalist maschili in ambito jazz sono rari almeno quanto i buoni dischi italiani di jazz cantato; non sta nemmeno soltanto nell’anomala line up che accompagna il giovane artista torinese, ex chitarrista ed oggi insegnante della tecnica vocale VoiceCraft, ossia il sax tenore di Emanuele Cisi ed il piano mirabolante di Palmino Pia; infine non sta neppure solo nell’approccio libero , decisamente non intellettualistico, ma ironico, disinvolto e ?Zen? che accompagna i testi, le improvvisazioni vocali e la scelta degli standard da parte dei tre musicisti.
“La Porta” trova queste ed altre ragioni di originalità, non ultima anche la lusinghiera serie di contributi scritti che alcuni illustri sacerdoti del jazz italico hanno offerto all’opera di un esordiente, per quanto promettente: ed ecco quindi le parole dio Giorgio Gaslini, di Franco D’Andrea e di Tiziana Ghiglioni che, dopo aver ascoltato il master dell’opera, hanno permesso che i loro commenti, messi nero su bianco, fossero riportati all’interno del booklet, a conferma di quanto già l’orecchio da solo ci dice nell’ascolto dei brani.
L’assenza della sezione ritmica non spaventa il trio, che si concede persino un calypso di rollinsoniana memoria, uno standard “trasfigurato” come “Four Brithers”, un canovaccio difficile come il davisiano “All Blues” o le insidie di “Round Midnight”, ma sono i brani originali, costruiti intorno alla centralità della title track, “La Porta” a darci la misura della proposta di Roberto Demo, in termini certamente di tecnica e versatilità vocale ma “quasi soprattutto” in fatto di approccio, visione d’insieme, compiutezza di un’opera prima dal raro equilibrio.

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